“I missili piovevano dal cielo: non c’era tempo per scappare e rifugiarsi; il macello era inevitabile”, Mohammad, 58 anni di Raqqa, in Siria
Mohammad Nhaier vive a Irbid, in Giordania, dal 2013 e lì vi riceve assistenza. In Siria è
stato preside di una scuola e sua moglie Adiba era un'insegnante per il
Ministero dell’istruzione. Hanno 6 figli, 4 dei quali sono adulti con
lauree o diplomi professionali, ma che si guadagnano da vivere facendo
lavori manuali in Giordania.
“Le strade di Raqqa erano piene di gente che rientrava a casa dal lavoro. Anch’io stavo camminando quando i missili hanno colpito. La gente scappava e gridava, venti persone sono state ferite gravemente e sei sono morte. Ho visto cose che non dimenticherò mai: un palazzo è stato colpito e ha proiettato fuori dalla finestra una signora che è precipitata, morendo sul colpo. Mi sono ritrovato sbalzato a circa 100 metri da dove mi trovavo, tanto è stata forte l’esplosione.
Ci hanno portato d’urgenza al pronto soccorso che però era totalmente deserto. Tutto il personale era scappato terrorizzato dai miliziani dell’ISIS che avevano invaso la città e si erano dichiarati nuovi governanti.
Non c’era altra scelta se non quella di tornare a casa e curarsi da soli le nostre ferite. Il mio corpo era coperto di schegge metalliche, in particolare la mia gamba, e non sono stato in grado di curarla, nonostante i miei tentativi. Avevo disperatamente bisogno di aiuto medico e ho supplicato la milizia ISIS affinché potessi recarmi all’ospedale di Damasco. Quattro mesi dopo ho ricevuto il permesso ma era troppo tardi per salvare la mia gamba e i dottori non hanno avuto un'altra opzione se non quella di amputarla. Ero arrabbiato, non ho modo di descrivere i miei sentimenti per il comportamento insensato di quelle persone.
A Damasco la situazione peggiorò e ci portarono al campo rifugiati di Zaatari. Non riesco a descrivere le condizioni in cui si viveva nel campo nel 2013. Faceva freddo, non c’era alcun tipo di organizzazione, si viveva tutti nelle stesse tende e il cibo scarseggiava. Era insopportabile, ma abbiamo trovato una via di fuga e siamo scappati a Irbid, la città in cui vivo ancora oggi.
Ho sofferto così tanto ed è stato un dolore che non auguro neanche al mio peggior nemico. Dopo 14 operazioni e tre anni da quel giorno, ho ricevuto finalmente la mia prima gamba. Non so come esprimere la mia gratitudine a SwissLimbs e ai loro donatori per tanta gentilezza. Posso di nuovo camminare e questo è un miracolo.
Non ho grandi speranze per il mio futuro, è troppo doloroso assistere alla devastazione del mio Paese e alla dispersione della mia famiglia".
SwissLimbs ha donato a Mohammad la sua prima protesi il 4 febbraio 2017.